9.30-13.00 | sezione del mattino aperta anche al pubblico
interventi a cura di
• La bioetica dei Comitati etici: panoramica europea
Autiero Antonio, Teologia Morale, Università di Münster
• La consulenza etica al letto del malato
Picozzi Mario, Centro di Ricerca in Etica Clinica, Università dell’Insubria, Varese
14.00-16.30 | WorkApp | Sezione riservata agli iscritti
I Comitati etici: orientare le decisioni di medici e pazienti
intervento di introduzione ai lavori di gruppo a cura di
• LEOPOLDO sandona’, Bioeticista
coordinamento dei gruppi di lavoro a cura di
• BERTIN Germano, Bon Giuseppe, Gasparetto Alessandra, Pozzato Alex
L’uomo di fronte ai limiti della condizione umana
La biologia è diventata sempre più centrale e i suoi avanzamenti sono talmente rapidi che è difficile tenergli dietro. Il problema, certamente più serio, è l’imminente modificazione genetica del nostro genoma.
Tecnicalmente siamo quasi in condizione di farlo e prima o poi succederà, ma questo pone seri problemi biologici e etici, soprattutto perché la procedura potrebbe non essere reversibile.
È possibile il superamento dei limiti naturali della condizione umana attraverso l’uso degli strumenti tecnologici, in modo da potenziare l’uomo aumentandone artificialmente le capacità?
Quale il ruolo di neuroscienze e bioetecnologie?
Cosa significa parlare di genetica, di ingegneria genetica, di nanotecnologie …?
La genetica sfida le nostre certezze, mette in questione l’idea stessa di essere umano, il rapporto con la corporeità e con la vita, la possibilità dell’uomo di avere “la vita tra le mani”…?
Occorre procedere con molta attenzione e lungimiranza su questi temi. E data l’importanza della questione, i cittadini di tutto il mondo dovrebbero discutere e partecipare a queste scelte.
Programma | sabato 9 giugno 2018
9.30 – 13.00
introduce BIAGI Lorenzo, Fondazione Lanza, Segretario generale
relatori
• Postumanesimo: tra biotecnologie e biosicurezza
BENANTI Paolo, Università Pontificia Gregoriana, Roma
• Neuroscienze e nuova bioetica
BONACCORSO Giorgio, Istituto di Liturgia Pastorale di Santa Giustina, Padova
14.00 – 16.30
Work App • Biobanche e tecnologie emergenti
• CAENAZZO Luciana, Università di Padova
• SIMONATO Lorenzo, Università di Padova
coordinatori
BERTIN Germano, giornalista
BON Giuseppe, Operatore Sanitario
GASPARETTO Alessandra, Bioeticista
POZZATO Alex, Bioeticista
SANDONA’ Leopoldo, Bioeticista
Ambiente e Salute. Prevenzione e stili di vita
Ormai il mondo è diventato una “casa comune” e sentiamo il bisogno di puntare ad una vita buona per tutti, ad un benessere globale.
Questo benessere globale è possibile soltanto dentro un nuovo concetto di “sviluppo globale”, ma non lo sviluppo come quello che fino ad oggi abbiamo, perché i dati concreti ci dicono che esso non è più sostenibile.
Dobbiamo orientarci a un processo di cura e di umanizzazione che non degradi il pianeta e che mediante un intreccio armonico consegua il benessere per tutti e sia rispettoso tanto della natura quanto degli uomini e dei popoli.
Programma
9.30-13.00
interventi di introduzione al tema a cura di
• Curi Umberto, Professore emerito di Storia della filosofia, Università di Padova
Parole (e fatti) di cura nell’ottica di una nuova bioetica (mutazioni climatiche, ambiente urbano, fisico e sociale, inquinamento …)
• Russo Francesca, Regione Veneto Prevenzione Sicurezza alimentare Veterinaria
Prevenzione e stili di vita: prendersi cura di sé, dell’ambiente, della salute (i concetti di rischio/pericolo ambientale, sanitario…, prevenzione, principio di precauzione e responsabilità, etica intergenerazionale, … i non umani)
14.00-16.30
WorkApp Educazione alla salute e nuovi stili di vita
Molta parte delle nuove sfide bioetiche si gioca sul coinvolgimento dei cittadini e delle comunità, su una crescita di informazione, formazione e partecipazione. La competenza etica deve diventare parte integrante del bagaglio morale delle persone e delle comunità, assieme alla consapevolezza di dover intraprendere nuovi stili di vita legati alla responsabilità del cambiamento personale e dell’organizzazione della vita nostra vita sociale.
Lo stile di vita è sempre più un insieme di buone pratiche di vita legate alla prevenzione, alla coscienza delle conseguenze delle nostre scelte ed azioni, alla relazione intergenerazionale e al futuro della vita nel suo complesso.
intervento di introduzione ai lavori di gruppo a cura di
• Vazzoler Marina, Regione Veneto, Prevenzione, Sicurezza alimentare, Veterinaria
Ambiti tematici: Aria, Acqua, Suolo, Alimentazione
Sabato 14 aprile 2018 | Fond. Lanza, Padova – Via Dante 55
Persone migranti e nuova bioetica: quale relazione?
Quali principi etici in un’ottica globale?
La bioetica tradizionale si sta evolvendo verso un approccio più ampio che interessa le persone in tutto il mondo e che si concentra sui nuovi problemi globali.
Oggi si richiede una visione nuova e più ampia della bioetica che sia anche in grado di criticare il contesto sociale, economico e politico che produce gli attuali grandi problemi globali.
Le domande che emergono ed esigono di essere affrontate sono importanti e complesse:
> multiculturalismo e migrazioni: quale la relazione con i temi della bioetica?
> ci sono e quali sono le malattie causate da flussi migratori?
> quali i problemi etici che emergono nella gestione dei “nuovi pazienti”?
> come possono essere affrontate le tematiche di genere?
> come riequilibrare il rapporto uomo-donna nelle diverse culture?
> e l’accesso alle risorse sanitarie come è possibile affrontarlo senza causare nuove diseguaglianze e/o disparità di risorse?
Sabato 10 marzo 2018 | Incontro aperto anche al Pubblico
ETICA DELL’ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Un elemento di ulteriore complessità concerne oggi il ruolo delle istituzioni sanitarie e le modalità con cui vengono organizzate e gestite (dalla conduzione dei servizi alla distribuzione del personale e così via), non ultimo in riferimento alle risorse stesse e ai diritti sociali.
Spesso si coagulano su questi punti veri e propri conflitti tra organizzazioni e cittadini, in cui si trovano frustrati tanto gli intenti degli operatori che le richieste dei cittadini. Le istituzioni e le organizzazioni ricavano il loro significato dall’essere i luoghi che danno corpo e concretezza agli orientamenti etico-sociali per una buona coesione sociale.
Da tutto ciò alcuni interrogativi: l’etica nell’organizzazione sanitaria esiste oppure è lasciata ai singoli? Le istituzioni sanitarie: tra nuove emergenze e “terrorismo ragionieristico”: verso quale welfare? Nuovi problemi di bioetica e giustizia sociale: quali i vantaggi dell’etica? Quali ricadute di buona comunicazione e di permeazione dell’etica nella scelta delle risorse?
Programma
9.30 – 13.00 | Parte prima
9.30 | introduzione: BIAGI Lorenzo, Fondazione Lanza
9.45 | relazioni
• FLOR Luciano
Direttore Generale Azienda Ospedaliera di Padova
• REBBE Vincenzo
Ordinario di Scienza delle Finanze, Dipartimento di Scienze
Economiche e Aziendali “M. Fanno”, Univ. di Padova
12.15 – 13.00 | in dialogo con i relatori
14.00 – 16.30 | Work App | Sessione riservata agli iscritti
L’organizzazione sanitaria
Quali le nuove esigenze del cittadino? Quali i diritti, i doveri, i costi?
coordinatori
BERTIN Germano, giornalista
BON Giuseppe, Operatore Sanitario
GASPARETTO Alessandra, Bioeticista
POZZATO Alex, Bioeticista
SANDONA’ Leopoldo, Bioeticista
L’uomo che soffre, l’uomo che cura
Nel nostro mondo della vita siamo entrati in un rapporto nuovo anche con il soffrire e con le dinamiche della cura e della guarigione.
Spesso si concentrano domande e bisogni complessi e confusi. Si accrescono le aspettative nei confronti della cura medica e delle sue tecniche.
Non sempre le nostre attese trovano soddisfazione, o perché sono sproporzionate oppure perché in realtà è la relazione interpersonale che si è impoverita e complicata.
Forse siamo chiamati a riordinare e a condividere con maggiore pazienza e informazione sia il nostro immaginario sulla salute e sulle cure, sia a trovare nel dialogo e nella condivisione tra tutti i soggetti la via più saggia e più umanizzante.
Programma
9.30-13.00 interventi a cura di
• La cura tra umanizzazione e tecnicalizzazione | Tommasi Roberto, Preside Facoltà Teologica del Triveneto
•Il malato tra incurabilità e inguaribilità | Barbisan Camillo, Servizio di Bioetica, Azienda Ospedaliera di Padova
14.00-16.30
WorkApp Il dolore: come affrontarlo? Esperienze di etica applicata
intervento di introduzione ai lavori di gruppo a cura di
• Bonetti Marco, Servizio Qualità e Sicurezza del Paziente, Azienda ULSS 6 Reg. Veneto
coordinamento dei gruppi di lavoro a cura di
•BERTIN Germano, Bon Giuseppe, Gasparetto Alessandra, Pozzato Alex, Sandonà Leopoldo
LA VITA CHE FINISCE: dilemmi e potenzialità
Di solito ritorna nei discorsi e dibattiti il tema dell’eutanasia, che di per sé indica solo una morte dolce o buona, ma nell’uso comune di oggi comprende realtà diverse fra di loro e un gran numero di problemi concreti sul piano medico e su quello morale.
La questione di fondo riguarda anzitutto il mutamento di senso che ha investito il nostro rapporto con il morire e con la morte. Occorre penetrare in questa mutazione.
Le novità inoltre di alcune conoscenze scientifiche e tecnologiche, e di nuove legislazioni, ci chiedono di essere più informati e più consapevoli. Infine, anche i luoghi e le pratiche di accompagnamento al morire si sono trasformati e anch’essi ci chiedono una crescita sociale, civile, morale e interpersonale.
PROGRAMMA | SCUOLA di BIOETICA | Terza Giornata di Formazione
9.30-13.00 interventi a cura di
• Giantin Valter, Azienda Ospedaliera Padova
• Poles Giovanni, Unità Op. Complessa Cure Palliative, AULSS 3 Serenissima Venezia
14.00-16.30 WorkApp Bioetica di fine vita
intervento di introduzione ai lavori di gruppo a cura di
• Marin Francesca, Filosofia morale e Bioetica, Università di Padova
coordinamento dei gruppi di lavoro a cura di
• Bertin Germano, Bon Giuseppe, Gasparetto Alessandra, Pozzato Alex, Sandonà Leopoldo
Dalla “città desiderata” alla “città abitata”, anzi “mediante”
(di Margherita Cestaro, Dottore di ricerca e assegnista di ricerca, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia, Psicologia applicata (FISPPA), Università di Padova)
«È l’umore di chi la guarda, che dà alla città […] la sua forma». Potremmo prendere spunto da questa suggestiva affermazione di Italo Calvino1 per domandarci: con quali occhi guardiamo oggi la città? Cosa di essa colpisce la nostra visione, cosa cerchiamo e cosa desideriamo vedere in essa?
Certo, il nostro sguardo non è avulso dalle nostre aspettative – o non aspettative – o dal modo in cui siamo stati abituati – e/o ci siamo abituati – a vivere nella e la città. In ogni caso, il nostro sguardo su di essa influenza il – ed è al tempo stesso influenzato dal – punto di vista da cui scegliamo, consapevolmente o meno, di intendere il nostro personale “stare” nella città-con-gli-altri. E gli altri quale posto occupano per noi nel nostro modo di guardare la città?
La prospettiva dalla quale e mediante la quale scegliamo qui di guardare alla città e la città è quella della polis: luogo di relazioni e di relazionalità, che pone al centro del suo stesso costituirsi e della vita che in essa si svolge la persona nel suo bisogno vitale di socialità. La città-polis è infatti il luogo vitale di relazioni vitali, reali e vitalizzanti. Essa è lo “spazio pubblico” in cui gli uomini “agendo in comune”, mediante l’azione e il discorso, si organizzano politicamente: scelgono cioè come gestire quella “casa comune” nella quale si ritrovano a “vivere insieme”2.
La città-polis costituisce dunque la “dimora” esistenziale ed etica3 nella quale la relazionalità, che caratterizza costitutivamente ogni essere umano come un “io-tu”, può esprimersi nella direzione dell’“io-tu-noi”. Abitare la città e avere la consapevolezza di appartenere alla città rinviano cosí alla possibilità di intessere relazioni umane che consentano a tutti e a ciascuno di potersi ritrovare a proprio “agio” nella città, sentendosi con gli altri con-cittadini, costruttori responsabili e attivi della “forma” umana e umanante che, insieme, si ritiene importante dare alla propria “dimora” comune.
Proprio in quanto tale, la città-polis si propone non come una realtà già data quanto piuttosto come una prospettiva progettuale e utopica. Essa fa appello innanzitutto a un desiderare comune che diventa a sua volta compito personale e condiviso che chiede a ciascuno l’impegno, la responsabilità, la disponibilità e la fatica di “lottare”-con-gli-altri per ciò che, insieme, si riconosce essere buono, giusto e bello per un comune abitare nella città e la città. L’utopia della città-polis è infatti il “luogo che non c’è” o – meglio – del “non ancora”. Essa diviene “fantasia reale” che rinvia a quella realtà possibile che, senza mai rinunciare a raggiungere la meta desiderata, procede ogni giorno “quantum satis”4, a piccoli passi, in base a ciò che quotidianamente l’agire di tutti e di ciascuno rendono fattibile.
È a partire da questa angolatura prospettica che cercheremo di guardare la città che ogni giorno si presenta ai nostri occhi con i suoi chiaroscuri, le sue opportunità e i suoi vincoli, cercando di intravvedere quali siano le vie educative mediante le quali è possibile superare gli uni e rafforzare le altre. Ci soffermeremo in particolare su alcune metafore e parole-chiave che da sole consentono di evocare e descrivere il fulcro dei processi umani politico-sociali, culturali ed etici, attorno ai quali si articola la vita della e nella città.
La città tra “muri” e “ponti”
Se spostiamo la direzione del nostro sguardo dalla verticalità della città desiderata all’orizzontalità del vivere sociale quotidiano che in essa si svolge, ci rendiamo subito conto di quanto la città si presenti di fatto come una realtà complessa e contraddittoria al suo interno, dove luci e ombre si alternano assumendo dimensioni diverse e cangianti a seconda dello sguardo con cui scegliamo di osservarla.
I “muri” urbani
Già a una prima “occhiata”, non possiamo non ritrovare nella città quanto illustri antropologi e sociologi evidenziano.
A fronte di un processo di urbanizzazione planetaria per effetto del quale, come fa osservare Marc Augé5, lo spazio urbano contribuisce a globalizzare il pianeta in “un’immensa città” – in un “mondo-città” -, a livello locale ogni singolo agglomerato urbano si configura a sua volta come una vera e propria “città-mondo” che ingloba, assorbe e acutizza in sé i paradossi, le disuguaglianze e le questioni non risolte innescate dalla pluralità dei processi (economici, politici, socio-culturali) che contraddistinguono il “mondo-città”.
Al punto tale, rileva Zygmunt Bauman, da trasformare le medesime città in vere e proprie “discariche” poste, come sono, davanti al «compito di trovare soluzioni locali alle contraddizioni globali»6.
In un contesto planetario interconnesso, in cui i confini spaziali e temporali sembrano cadere, il locale diviene dunque la “cartina di tornasole” del globale. A fronte di una tensione costante a ricercare, perseguire ed enfatizzare tutto ciò che permette il configurarsi di un unico mondo-città che non ponga limiti alla libera circolazione di conoscenze, risorse, comunicazioni, fanno eco nelle città-mondo scelte e comportamenti opposti, tesi piuttosto a restringere e proteggere le singole individualità, nel nome della privacy e della sicurezza. In tal modo, ogni «città-mondo relativizza o smentisce con la sua sola esistenza le illusioni del mondo-città»7.
Sorgono recinzioni, barriere, delimitazioni motivate dall’esigenza di solcare il confine tra “chi è di qua” e “chi è di là”, separando e mantenendo a distanza sé dall’altro o dall’insieme di quegli altri divenuti (per le loro storie di vita, di povertà, di disagio, di migrazione) sempre piú invadenti, ingombranti, pericolosi. Vengono eretti muri fisici ma anche – e ancor di piú – simbolici, le cui fondamenta affondano ogni giorno nella paura dell’altro, del “diverso”, dello “straniero”, percepito come una costante minaccia alla propria già fragile identità, alla propria precaria stabilità personale e sociale, alla propria “dimora” divenuta ormai scomodamente comune, nella quale non manca una serpeggiante “mixofobia”8: la paura di mescolarsi e di lasciarsi contaminare dall’alterità e, in particolare, dagli altri “scomodi”.
Cosí, nella città ci si muove incapsulati nella propria routine, rincorrendo un tempo che sembra sempre mancare, usufruendo di spazi in cui è consentito solo il transitare veloce, ma non il rallentare, il fermarsi e l’incontrare. Proliferano i “non luoghi”9, la cui frequentazione è funzionale solo al cosa si deve fare in essi o al dove si deve andare. Ne sono un emblematico esempio le vie di circolazione accelerata (strade a scorrimento veloce, svincoli, stazioni, aeroporti, …), i centri commerciali e tutti quegli spazi urbani in cui la reale interazione tra persone di fatto è assente, ignorata, ostacolata, evitata.
Sono proprio tali “non luoghi” a costituire appunto i “muri” maggiormente fortificati che costringono a constatare la concretezza di un grande paradosso indotto dalla globalizzazione: l’essere tutti coinvolti in un “nuovo spazio planetario” che non trova coincidenza però con uno “spazio pubblico planetario”10, dove “pubblico” sia sinonimo di cittadinanza, quale reale partecipazione-con-gli-altri alla vita della polis.
I “ponti” della città
Eppure, e a ben vedere, nella città non mancano, sparsi qua e là, punti di luce, veri e propri “ponti” – fisici e/o simbolici – che nel favorire il “collegamento” tra persone, prima ancora che tra parti urbane diverse, di fatto accorciano le distanze, avvicinano, uniscono, creando per tutti e per ciascuno l’opportunità di accorgersi dell’altro, di “vedere l’altro” e di “essere visto” dall’altro.
Essi sono luoghi vitali, umani e umananti, nei quali la relazione con l’altro e tra altri trova non solo posto, ma diviene essa stessa per ognuno occasione per fare esperienza della “reciprocità del rendersi presenza”, del “rivolgersi”11 all’altro come “io” dinanzi al proprio “tu”. Tale dialogicità dell’entrare e dello stare nella relazione con e altri può sembrare forse una tensione tanto bella quanto ideale e astratta. In realtà, tutte le volte in cui si “osa” guardare nel volto l’altro, sapendolo riconoscere come uno che è “come me” pur non essendo me12, gli spazi formali, non formali e informali della città, un quartiere piuttosto che una via o un pianerottolo di condominio, un ufficio piuttosto che un negozio, una scuola piuttosto che un oratorio, possono a seconda dei casi trasformarsi da “non-luoghi” a “luoghi”13 dove a tutti e a ciascuno è data la possibilità di essere e di essere-con-gli-altri.
La sfida che allora si pone è quella di creare luoghi nella città che invitino e facilitino non solo il transitare rapido, anonimo, isolante, ma anche e soprattutto il so-stare con l’altro e tra altri. La possibilità di “fermarsi con” e di “saper stare con” l’altro in una relazione che consenta di fare reciprocamente esperienza dell’“io-tu”, diventa infatti occasione preziosa di incontro generativo di “mutuo riconoscimento”14, di condivisione, di com-partecipazione, di aiuto solidale. Prezioso ritorna, ancora una volta, il pensiero metaforico espresso da Italo Calvino ne Le città invisibili15.
«… Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la linea che sostiene il ponte? – chiese Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra – risponde Marco Polo – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi aggiunse:
– Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde:
– Senza pietre non c’è arco …»16.
Come dire, è la qualità delle relazioni che le singole persone intessono tra loro a costruire – o meno – nella città “ponti” mediante i quali permettere a ognuno di transitare da situazioni di incapsulamento, chiusura, solitudine, disagio esistenziale e materiale, a situazioni di fioritura dell’umano: di quel bisogno e desiderio di relazionalità che dimora nell’intimo di ciascuno.
Per poter costruire “ponti” occorre tuttavia prestare attenzione alle “pietre” che si utilizzano: occorre cioè “prendersi cura” di formare in quanti abitano nella città la consapevolezza e il senso dell’essere-con, del “Noi”. Occorre di conseguenza che ciò che è immaginato, pensato, progettato per la città persegua come finalità quella che già Delors17 aveva individuato come uno dei “quattro pilastri” per l’educazione del XXI secolo: “l’imparare a vivere insieme”. È questa una meta educativa, umana ed etica, che non può essere circoscritta “solo” ai contesti preposti per l’educazione ma chiede di essere estesa ai diversi “spazi pubblici” nei quali si articola la vita della città.
Recuperare, valorizzare e promuovere la valenza educativa ed educante del vivere nella e la città sollecita allora a favorire e a valorizzare la tendenza alla “mixofilia”18 che la stessa realtà urbana induce, stimolando curiosità e interesse per tutto ciò che di “nuovo”, “diverso” e “strano” essa offre o in essa risiede. Si tratta tuttavia di porre attenzione affinché tale desiderio di meticciamento e di familiarizzazione con la diversità e l’alterità non si esaurisca in una mera sensibilità folkloristica ma solleciti piuttosto reali atteggiamenti e comportamenti propri di quella prossimità relazionale e umana che consente di riconoscere nell’altro non un “aliud” ma un “alter”18, non un “oggetto” della propria curiosità, ma un “volto” che, con la sua stessa presenza, mi interpella19.
Sono allora proprio gli “spazi pubblici”, nella misura in cui sanno farsi “luoghi” relazionali, l’opportunità di cui la città dispone per trasformarsi quotidianamente in un “laboratorio” nel quale «imparare l’arte del vivere con la differenza»20. Una “città-laboratorio” quindi in cui le differenze di ciascuno non costituiscano dei “muri” che dividono, ma siano piuttosto percepite e vissute come delle «frontiere reciprocamente attraversabili»21, delle soglie che, nel mostrare ciò che distingue e caratterizza, al tempo stesso rivelano ciò che accomuna e rende “uguali”: l’essere reciprocamente persone umane “in carne ed ossa”, a loro volta, “frontiere” attraverso le quali è possibile non solo accedere a modi diversi di pensare, di sentire, di agire, ma anche – e soprattutto – riconoscere il “volto” plurale dell’umano nel quale ognuno “abita” e dal quale “è abitato”22.
Può dunque la città essere “dimora” della pluralità dei “volti” che compongono l’umano?
La risposta non è scontata ma risiede nella intenzionalità e nella responsabilità della città e dei suoi abitanti di accettare o meno il compito arduo e appassionante che il vivere insieme richiede: essere “luogo vitale di luoghi vitali»23, in cui la relazione con e tra altri diventi palestra in cui quotidianamente poter fare esperienza di coesione sociale e di inclusione umana. Paradossalmente, ricade proprio sulle singole città, nelle quali la vita reale si articola e prende forma, «l’enorme compito che [a livello globale] ci sta di fronte […]: il compito di rendere umana la comunità degli uomini»24, accettando di assumere cosí «la globalizzazione come sfida etica»25.
La città “ponte” tra identità e differenza
Raccogliere la sfida etica di “globalizzare l’essere umano”, educando all’arte del vivere con le differenze rappresenta per la città l’invito a divenire «luogo di frontiera interculturale»26, in cui il reciproco attraversamento dei confini consenta a ciascuno di individuare con gli altri quelle “convergenze” a partire dalle quali iniziare a co-progettare e co-costruire insieme.
Il compito dunque che si presenta alla città è quello di sapere essere una “città mediante”27, la cui azione di mediazione consiste proprio nella capacità di creare, nei suoi “luoghi”, un “ponte” tra identità e alterità-differenza, attraverso il quale consentire a ciascuno di sperimentare come non sia possibile l’una senza l’altra. Ogni “identità” è al tempo stesso, proprio nella sua unicità e specificità, una “differenza”. Quest’ultima rappresenta cosí la “cifra della identità”28. La “logica edilizia”, infatti, che sorregge entrambi tali “pilastri”, non è quella dell’“aut-aut” bensí quella dell’“et-et”: la costruzione-formazione sociale e culturale della città – cosí come quella personale – si rende possibile solo nella direzione della relazione – non della divisione – e della integrazione.
Quest’ultima, iscrivendosi essa stessa nella dinamica relazionale, è sempre reciproca (io-tu-noi) e si attualizza in processi che consentono a tutti e a ciascuno di ritrovarsi persone, imparando ad essere pienamente umani e “a diventare umani”29.
Prendersi cura dell’umano che la abita implica allora per la città favorire, nei suoi luoghi pubblici, la formazione di identità porose, intese non come delle “identità patchwork”, mere giustapposizione di parti eterogenee assemblate insieme solo per il gusto della diversità, ma come delle identità narrative30, capaci di ricomporre in unità la pluralità delle differenze che le compongono riconosciute, queste ultime, come parti significative che definiscono appunto la propria identità-differenza.
Identità dialogiche e medianti31 per le quali né l’apertura alla differenza induce a scorciatoie relativistiche, né la consapevolezza di sé implica rigidità, staticità e chiusura ma, anzi, disponibilità all’incontro e al confronto critico-costruttivo e creativo con l’altro, a partire dal riconoscimento di quella comune matrice umana che rende uguali pur nelle reciproche differenze. Identità interculturali quindi per abitanti di città-polis interculturali31.
In un mondo caratterizzato dalla difficoltà di tracciare un confine tra “il qui e l’altrove”, proprio le città rappresentano allora il “luogo” capace di evocare il «duplice orizzonte del nostro avvenire: l’utopia di un mondo unificato e il sogno di un universo da esplorare»32. Il “luogo” in cui si rende possibile per ognuno, nella quotidianità del vivere insieme, «coltivare la propria umanità»33, educando ed educandoci a “un’etica della comprensione planetaria”34 mediante la quale imparare a riconoscerci nella nostra comune cittadinanza umana – “terrestre” direbbe Morin – prima ancora che anagrafica.
Margherita Cestaro, Dottore di ricerca e assegnista di ricerca, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia, Psicologia applicata (FISPPA), Università degli Studi di Padova
1) I. Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori, Milano (1993)2006.
2) H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Tascabili Bompiani, Milano (1964)2009.
3) Cfr.: H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990; G. Milan, Le stanzette e l’utopia. Combattere il rimpicciolimento ospitando la città, in E. Gasperi (a cura di), Dar luogo ai luoghi. La città cantiere di interculturalità, Cleup, Padova 2008, pp. 1-30; G. Milan, L’E-ducere della polis…a partire dalle fondamenta, in G. Milan, E. Gasperi (a cura di), Una città ben fatta. Il gioco creativo delle differenze, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2012, pp. 15-37; M. Cestaro, Il gioco della mediazione per una città interculturale, in G. Milan, E. Gasperi (a cura di), Una città ben fatta. Il gioco creativo delle differenze, Pensa MultiMedia, Lecce 2012, pp. 73-94; G. Milan, M. Cestaro, We can change! Seconde generazioni Mediazione interculturale Città, Pensa MultiMedia, Lecce 2016.
4) M. Buber, Il Principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1993.
5) Cfr.: M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, Milano (1993)2009; M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al non tempo, Elèuthera, Milano 2009.
6) Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano 2005.
7) M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? …, op. cit.
8) Z. Bauman, Fiducia e paura …, op. cit.
9) Cfr.: M. Augé, Nonluoghi …, op. cit.; M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? …, op. cit.
10) M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? …, op. cit.
11) M. Buber, Il Principio dialogico e …, op. cit.
12) P. Ricoeur, Il sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993.
13) Cfr.: M. Augé, Nonluoghi …, op. cit.; M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? …, op. cit.
14) P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina, Milano 2005.
15) I. Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori, Milano (1972)2006.
16) I. Calvino, Le città invisibili …, op. cit., p. 81.
17) J. Delors et alii, Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’Unesco della Commissione internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando Editore, Roma 1997.
18) R. Panikkar, Pace e Interculturalità. Una riflessione filosofica, Jaca Book, Milano 2002.
19) E. Lévinas, Totalità e Infinito, Jaca Book, Milano 1990.
20) Z. Bauman, Fiducia e paura …, op. cit.
21) M. Cestaro, Il gioco della mediazione …, op. cit.
22) G. Milan, M. Cestaro, We can change …, op. cit.
23) G. Milan, Le stanzette e l’utopia …, op. cit.
24) Z. Bauman, Fiducia e paura …, op. cit.
25) Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Laterza, Bari 2010.
26) M. Cestaro, Il gioco della mediazione …, op. cit.
27) G. Milan, M. Cestaro, We can change …, op. cit.
28) Cfr.: M. Cestaro, Educare “stando nel mezzo”. Mediazione interculturale tra ricerca e formazione, Cleup, Padova 2013; G. Milan, M. Cestaro, We can change …, op. cit.
29) P. Bertolini, Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano 2003.
30) P. Ricoeur, Il sé come un altro …, op. cit.
31) G. Milan, M. Cestaro, We can change …, op. cit.
32) M. Augé, Nonluoghi …, op. cit.
33) M. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma 1999.
34) E. Morin, I sette saperi capitali necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001.
Professioni Accoglienza
Il momento storico-sociale che stiamo attraversando, con l’accavallarsi e il rincorrersi quotidiano di avvenimenti accelerati dalla comunicazione globale, sembra avere un tema di sottofondo che stentiamo ad assumere all’interno di una riflessione piú matura e ponderata. Non fatichiamo ad accorgerci che questo tema concerne l’incontro con l’altro. A differenza del secolo scorso che si è chiuso con una vasta riflessione sull’altro, accostata da diversi punti di vista, questo inizio del secolo XXI sembra essere incappato proprio nelle labirintiche difficoltà del rapporto con l’altro. La situazione politica, sociale, religiosa, ambientale ed economica di questo ultimo scorcio di tempo, continua a gettarci davanti (è il significato etimologico della parola “problema”) le interminabili sfaccettature e dimensioni dell’incontro con l’altro. Sembra che abbiamo smarrito irreparabilmente quanto evidenziava il grande antropologo Claude Lévi-Strauss: «La scoperta dell’alterità è quella di un rapporto, non di una barriera». Sembra, per l’appunto, che noi facciamo l’esperienza piú della barriera che del rapporto.
Per questo qualcuno inizia a mettere in cima alle sfide del secolo XXI la questione dell’incontro con l’altro. Non a caso, l’antropologo francese Marc Augé ha affermato che è urgente ripensare la nozione di frontiera in un’epoca che vorrebbe disfarsene: «la frontiera non dovrebbe essere vista come una barriera insuperabile quanto piuttosto come un confine che può e deve essere attraversato e, ancora, come un limite da rispettare perché definisce la distanza minima necessaria per essere veramente liberi». La nostra epoca non vuole saperne di frontiere, proprio perché pensa di ricostruire muri. E i muri chiudono il nostro sguardo verso l’altro, mentre la frontiera indica la presenza – possibile e imminente – dell’altro. E non si tratta solo di ripensare il senso delle frontiere geopolitiche, ma anche di quelle piccole frontiere quotidiane che tanto nel posto di lavoro quanto nelle relazioni familiari, sembrano presentare problemi crescenti.
Eppure, anche di fronte a dinamiche sociali che sembrano smentirlo, il principio chiave dell’essere umano può essere cosí riassunto: è interessandosi agli altri che si impara a conoscere sé stessi. Cercare di conoscere l’altro da sé, come ha affermato ancora Marc Augé, significa mettere alla prova la relazione – fra un individuo e gli altri – che sta al centro dell’identità sociale, ma anche personale. Migliorare questa conoscenza significa abbandonare l’isolamento, sia per quanto riguarda me stesso, sia per quanto riguarda gli altri. “Mai senza l’altro”, ha osservato Michel De Certau, cogliendo cosí la formula sintetica e la declinazione di questo principio antropologico fondamentale.
Chi è questo altro o, meglio, chi sono questi altri? Ryszard Kapuscinski, da quel grande osservatore e narratore che è stato, ha scritto che sono persone fatte da due parti spesso difficili da separare. Una è l’uomo uguale a noi, con le sue gioie e i suoi dolori, i giorni fasti e quelli nefasti, che teme la fame e il freddo, che sente il dolore come una sventura e il successo come soddisfazione e appagamento. L’altra, sovrapposta e intrecciata alla prima, è l’identità culturale e religiosa. Le due parti non appaiono mai distinte, allo stato puro e isolato, ma convivono influendo l’una sull’altra. Senza mai dimenticare che anch’io, infine, sono sempre un altro per gli altri.
L’accoglienza, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, ma anche tra opportunità e creatività, sta diventando la cifra per affrontare la sfida di questo secolo, quella dell’incontro con l’altro. L’altro che viene da fuori, ma anche l’altro che abbiamo in casa, e che forse abbiamo “costruito” noi, magari perché disabile, svantaggiato, malato, carcerato … Sta di fatto che, a pensarci bene, non vi è professione che non abbia a che fare con l’altro, e non solo in quanto collega, ma anche come interlocutore, utente, cliente, cittadino. Le professioni di fatto hanno qui una opportunità decisiva per ripensarsi nel loro statuto, sociale, giuridico, economico e culturale. L’opportunità di ripensarsi dopo una stagione in cui sono state inghiottite dall’io che “si fa da sé”, che mira solamente alla prestazione remunerata, comunque vada e senza tante etiche, se non a parole.
Questo numero della rivista raccoglie, valorizzando soprattutto le esperienze in atto, una ricca espressione di stili e pratiche di accoglienza per poter riformulare lo spirito professionale che non di rado si è appannato non solo nei singoli, ma anche nelle organizzazioni. Proprio queste pratiche sembrano insegnarci che grazie all’accoglienza dell’altro possiamo ridare senso e valore a ogni professione che ci vede impegnati. E da qui riscoprirci dentro il progetto di costruzione di una umanità non piú ripiegata sull’io, ma valorizzata dal fatto di essere dentro un “noi”.
Lorenzo Biagi
La vita che nasce: dilemmi e potenzialità
La complessità che oggi caratterizza la nostra vita quotidiana coinvolge anche il momento dell’inizio vita, non solo in occidente, ma a livello globale.
Si rende necessaria una rilettura di tale complessità alla ricerca di chiavi di lettura capaci di andare a leggere e affrontare i dilemmi e le potenzialità dell’inizio vita, a partire dall’esperienza concreta di persone, comunità, operatori e istituzioni.
I temi aperti più sfidanti che stanno dinnanzi sono: la diagnosi prenatale, la procreazione assistita, la maternità surrogata, l’aborto.
La giornata formativa (2 dicembre 2017 | 9.30-16.30 c/o Fond. Lanza, Padova | Via Dante 55) proposta dalla Scuola di Bioetica promossa e organizzata dalla Fondazione Lanza insieme alla Rivista “Etica per le professioni” affronterà questi temi affidandosi alle riflessioni proposta dalla dott.ssa Mariateresa GERVASI (Ostetricia e Ginecologia, Azienda Ospedaliera Padova) e al supporto di approfondimento accompagnato da Alex Pozzato, Alessandra Gasparetto, Leopoldo Sandonà, Giuseppe Bon (equipe didattica Scuola di Bioetica | Fondazione Lanza – EPP)
La Scuola di Bioetica promossa dalla Fondazione Lanza e dalla Rivista Etica per le professioni offre la possibilità, attraverso un progressivo itinerario formativo, di implementare la qualità del discernimento su questioni di bioetica.
Grazie a una specifica e innovativa didattica, le diverse figure che conducono la formazione agiscono e si interfacciano tra loro e con i partecipanti secondo il modello dell’apprendimento di gruppo. Attraverso una costante e coinvolta interazione con i partecipanti, si punta alla valorizzazione delle differenti competenze professionali per orientarne l’agire nei rispettivi ambiti di responsabilità.
Finalità prioritaria della Scuola è offrire agli iscritti un metodo di apprendimento e un modello didattico che li renda idonei ad affrontare le diverse questioni e problematiche legate alla bioetica, fino a rendere ciascuno una sorta di “cellula” del buon consiglio, capace di generare e ri-generare in sé e attorno a sé, nella quotidianità e in ogni ambito di vita, una sempre piú alta consapevolezza e determinazione professionale “trasformativa”.
Il Corso a.a. 2017-2018 “Per una bioetica rinnovata” prevede nove tappe che si svilupperanno, con cadenza mensile, tra novembre 2017 e giugno 2018.
PROGRAMMA
• 11.11.2017 (9.30-13) Dialogo sullo “stato di salute” della bioetica oggi
> incontro aperto anche al pubblico
• 02.12.2017(9.30-13) La vita che nasce: dilemmi e potenzialità
• 13.01.2018(9.30-13) La vita che finisce: dilemmi e potenzialità
• 10.02.2017(9.30-13) L’uomo che soffre, l’uomo che cura
• 10.03.2018 (9.30-13) Etica dell’organizzazione sanitaria
> incontro aperto anche al pubblico
• 14.04.2018 (9.30-13) Persone migranti e nuova bioetica: quale relazione?
• 12.05.2018 (9.30-13) Ambiente e salute: prevenzione e stili di vita
• 09.06.2018(9.30-13) L’uomo di fronte ai limiti naturali della condizione umana
30.06.2018 (9.30-13) Bioetica: orientare l’agire professionale
> incontro aperto anche al pubblico
INFORMAZIONI
> Destinatari
• operatori in ambito sanitario
• membri di comitati etici
• insegnanti, formatori, educatori
• funzionari e dirigenti pubblici
• operatori della comunicazione
> Dispositivo didattico
• 60 ore di attività
• lezioni frontali
• attività di rilettura individuale
• incontro con il tutor
• lavoro di gruppo
• dossier di lavoro personale
• verifica di apprendimento e di verifica
> Iscrizioni
• quota di adesione corso intero: 450,00 euro
> 200,00 euro all’iscrizione
> 250,00 euro a inizio corso
• quota singola giornata: 80,00 euro
• quota per studenti
> 300,00 euro corso intero
> 50,00 euro a singola giornata
• n° massimo iscritti: 40 persone
Riconoscimenti
• attestato finale di partecipazione
• crediti formativi (dove previsti)
TRENT’ANNI di BIOETICA
Dialogo sullo “stato di salute” della bioetica oggi
La bioetica viene da una intensa stagione di scritti vari, di articoli, di manuali, di riviste, ma anche da un periodo di contrapposizioni e di scontri che non sempre hanno aiutato le persone a farsi un’idea chiara delle questioni in gioco.
Oggi la bioetica pare essere entrata anche in una stagione nuova, caratterizzata da nuove sfide e nuove emergenze sociali, economiche ed ambientali, oltre che di giustizia sociale, che stanno riconfigurando lo statuto della vita umana e della salute delle persone e delle popolazioni.
Per questo pare essere giunto il momento di interrogarci sullo “stato di salute” della stessa bioetica: da dove viene, a che punto si trova, dove sta andando, come si muovono i diversi soggetti implicati, quali sono le nuove sfide e le nuove vie da intraprendere, quali occasioni di formazione aperta a tutti possono essere coltivate.
Al Convegno di sabato 11 novembre 2017 (9.30-13) a Padova c/o sede Fond. Lanza in Via Dante 55:
introduce
• BIAGI Lorenzo, Fondazione Lanza, Segretario generale
intervengono
• BARBISAN Camillo, Servizio di Bioetica, Azienda Ospedaliera di Padova
• BUSATTA Lucia, Università di Padova
• DA RE Antonio, Filosofia morale, Università di Padova
• MENEGHELLO Francesca, Ospedale San Camillo, Lido Venezia
• PEGORARO Renzo, Pontificia Accademia per la vita, Roma
coordina
• BERTIN Germano, Rivista “Etica per le professioni”
Per una bioetica rinnovata è il titolo della Scuola di Bioetica che la Fondazione Lanza insieme alla rivista Etica per le professioni lancia quest’anno, all’interno di percorsi “Ethos – Alta Formazione”.
Un percorso qualificato rivolto a un pubblico eterogeneo, vista la complessità e globalità del tema: operatori in ambito sanitario, membri di comitati etici, insegnanti, formatori, educatori, funzionari e dirigenti pubblici, operatori della comunicazione. Ma anche cittadini che si interrogano di fronte ai grandi scenari globali.
Due le motivazioni principali alla base di questo nuovo percorso formativo: in primo luogo la necessità di aprire l’orizzonte e affrontare le questioni di bioetica in termini globali e non esclusivi dell’inizio e fine vita; in secondo luogo proporre una metodologia che permetta di favorire la crescita di una cittadinanza competente, rendendo accessibili a fasce sempre più ampie di cittadini le problematiche bioetiche che nascono a fronte dei grandi cambiamenti sociali, culturali, politici.
Sul tavolo delle questioni bioetiche ci sono, infatti: l’espansione delle disuguaglianze, l’aumento della popolazione e il suo concentramento in grandi metropoli, i movimenti migratori, la riduzione delle risorse per la sanità, il cambiamento climatico e ambientale, i processi di inquinamento, lo sgretolamento dei sistemi sociali e sanitari, gli interrogativi ancora aperti di fronte ai temi del nascere, del morire, del soffrire.
«È il tempo – commenta Lorenzo Biagi, segretario generale della Fondazione Lanza – di cambiare e soprattutto allargare il punto di vista e parlare bioetica globale e di uscire dallo schema tradizionale del bioeticismo, che si sofferma in particolare sull’inizio e sul fine vita. Oggi, considerando i grandi cambiamenti culturali, sociali, ambientali, la bioetica si interroga sulla vita nella sua globalità, in tutte le sue diramazioni e connessioni. Occorre aprire il discernimento bioetico anche a nuovi parametri che ci confermano che la dignità della vita è il risultato di tante determinanti, che oggi si concentrano sulla dimensione sociale, ambientale, multiculturale, sulle nuove fragilità della salute mentale e sulle ricadute sociosanitarie delle vecchie e nuove povertà».
La Scuola di Bioetica inizierà sabato 11 novembre 2017 con un incontro aperto al pubblico che farà il punto sullo “stato di saluto “ della bioetica oggi. Successivamente si articolerà in incontri mensili, il sabato, di una giornata (9.30-16.30) fino al 30 giugno 2018. In tutto sono nove appuntamenti (tre sono aperti al pubblico) per un totale di 60 ore di attività, con lezioni frontali e attività di rilettura individuale, incontro con il tutor, lavori di gruppo, verifica.
L’itinerario formativo proposto si impegna ad accrescere la qualità del discernimento bioetico proponendo l’integrazione tra un insegnamento di squadra, con docenti e formatori che per primi cooperano tra loro, e un apprendimento di gruppo, che passa attraverso una costante e paziente interazione tra i partecipanti sui rispettivi ambiti tematici esplorati.
I contenuti
1. Incontro di inizio della Scuola: dialogo sullo stato di salute della bioetica oggi (11.11.2017)
2. La vita che nasce: dilemmi e potenzialità (02.12.2017)
3. La vita che finisce: dilemmi e potenzialità (13.01.2018)
4. L’uomo che soffre, l’uomo che cura (10.02.2018)
5. Etica dell’organizzazione sanitaria (10.03.2018)
6. Persona migranti e nuova bioetica: quale relazione? (14.04.2018)
7. Ambiente e salute: prevenzione e stili di vita (12.05.2018)
8. L’uomo di fronte ai limiti naturali della condizione umana (09.06.2018)
9. Bioetica: orientare l’agire professionale (30.06.2018)
Metodologia
Ciascuno dei contenuti proposti verrà sviluppato mediante un contributo plurale e cooperativo tra due/tre esperti, ai quali seguirà uno spazio di rielaborazione personale, per poi attivare un confronto di gruppo tra i partecipanti, e infine per orientarsi verso una sintesi pratica nell’assemblea plenaria, dalla quale verrà ricavato un quadro sintetico per favorire nuove pratiche di bioetica.
Ogni incontro sarà accompagnato dalla presenza di tutor appositamente preparati per una prima decantazione e condivisione dei tempi proposti.
Docenti/Relatori
Antonio Autiero, bioeticista, Università di Münster e Fondazione Lanza
Camillo Barbisan, servizio di bioetica, Azienda Ospedaliera di Padova
Antonio Da Re, filosofo morale, Università di Padova
Luciano Flor, direttore generale, Azienda Ospedaliera di Padova
Maria Teresa Gervasi, primario, reparto ostetricia e ginecologia Azienda Ospedaliera di Padova
Renzo Pegoraro, bioeticista, Pontificia Accademia per la Vita, Roma
Giovanni Poles, Unità OC Cure palliative, medico Ulss Veneziana
Vincenzo Rebba, Università di Padova
Francesca Russo, direttore prevenzione, sicurezza alimentare, veterinaria, Regione Veneto
Roberto Tommasi, preside e docente di Filosofia della Facoltà teologica del Triveneto
Francesca Meneghello, IRCS, Lido di Venezia
Lucia Busatta, studiosa in biodiritto, Università di Padova
Valter Giantin, medico geriatra Università di Padova
Francesca Marin, filosofia, Università di Padova
Marco Bonetti, medico, bioeticista, Azienda Ulss 15, Alta Padovana
Giovanni Putoto, medico Medici con l’Africa-CUAMM
Paolo Simioni, presidente OMCO, Padova
Samantha Serpentini, psiconcologa, IOV Padova
Umberto Curi, filosofo, Università di Padova
Paolo Benanti, eticista e studioso di neuroscienza, Pontificia Università Gregoriana
Giorgio Bonaccorso, eticista e studioso di neuroscienze, Istituto Liturgia pastorale Santa Giustina
Luciana Caenazzo, genetista, Università di Padova
La Fondazione Lanza e la Bioetica
La Fondazione Lanza è un centro di ricerca nel campo dell’etica applicata, con attenzione in particolare all’etica fondamentale, alla bioetica, alle questioni ambientali, alle professioni e alla formazione continua. In modo speciale, in questi trent’anni di attività, la Fondazione Lanza è diventata un riferimento per la ricerca bioetica, e ha sviluppato una rete di contatti e di scambi anche con i maggiori centri di bioetica internazionali: l’EACME (The European Association of Centres of Medical Ethics), l’ESPMH (European Society for Philosophy of Medicine and Healthcare), l’ECEN (EUROPEAN CHRISTIAN ENVIRONMENTAL NETWORK).
La Scuola di Bioetica si pone come una delle prime proposte nel cammino di preparazione ai festeggiamenti del trentennale della Fondazione Lanza (1988-2018).
Informazioni
Numero massimo iscritti: 40
Iscrizioni: entro il 30 ottobre 2017
Quota di partecipazione: € 450,00
Informazioni: 049 8756788 | 339 8042075
info@eticaperleprofessioni.it
PER UNA BIOETICA RINNOVATA | 2017 – 2018
INVITO | ISCRIZIONI APERTE | SCUOLA di BIOETICA
” … finalità prioritaria della Scuola è offrire agli iscritti un metodo di apprendimento e un modello didattico che li renda idonei ad affrontare le diverse questioni e problematiche legate alla bioetica, fino a rendere ciascuno una sorta di “cellula” del buon consiglio, capace di generare e ri-generare in sé e attorno a sé, nella quotidianità e in ogni ambito di vita, una sempre piú alta consapevolezza e determinazione professionale “trasformativa” …